Pillole da FORUM PA 2019
Regione Emilia-Romagna, ente capofila del progetto VeLA e Provincia Autonoma di Trento, ente cedente la pratica di riuso, si sono incontrate a FORUM PA per raccontarci come è nato il progetto VeLA e la scelta della buona pratica di riuso grazie alla quale oggi vede la luce il KIT di riuso, “una buona pratica a misura di tutti”.
Il Progetto VeLA – ci racconta Stefania Sparaco, Trasformazione organizzativa e digitale - Staff Direzione Generale Regione Emilia-Romagna – nasce a maggio del 2018 grazie a un bando sul PON Governance Capacità Istituzionale 2014-2020 per la creazione di buone pratiche. È su quest’onda che Regione Emilia-Romagna e Provincia Autonoma di Trento, insieme, decidono di presentare la proposta della creazione di una buona pratica sullo smart working. Obiettivo, da bando, era costruire un kit di riuso, una cassetta degli attrezzi che fosse a disposizione di tutte le pubbliche amministrazioni che in futuro fossero state interessate a partire con un progetto di smart working, e poterlo fare nel modo più rapido possibile. “A noi, dunque, il compito di costruirla solida, leggera e efficace per consentire alle amministrazioni di fare il passo più rapidamente rispetto a quanto avverrebbe se si dovesse analizzare da una fase iniziale un progetto di tale portata” afferma Stefania Sparaco.
Qual è il motivo che ha portato a scegliere TelePAT 2.0[1] come buona pratica di riuso? Perché – risponde Stefania Allegretti, Responsabile dell’Ufficio Sviluppo organizzativo e del personale Provincia Autonoma di Trento – Provincia Autonoma di Trento è l’unica amministrazione con una lunga esperienza alle spalle in merito al telelavoro, a partire dal 2002. Nel 2011 poi la giunta aveva dato un mandato forte di effettuare uno studio di fattibilità per l'implementazione di 300 postazioni nei successivi 3 anni. Approvato, nel 2015 sono passati dalla sperimentazione alla firma dell'accordo sindacale. Allo stesso tempo erano partiti con la sperimentazione di smart working. “C’è una differenza tra telelavoro e smart working” – afferma Allegretti – : per il primo si intende il lavoro a distanza con orario prefissato; con smart working intendiamo la possibilità di lavorare svincolati da luogo e orario. È un modello di lavoro che supera gli approcci tradizionali, che implica un cambiamento culturale. Entrambe le modalità, comunque, rispondono a un’esigenza centrale: accelerare l’innovazione all’interno dell’ente.
Per la sperimentazione dello smart working sono stati scelti i dirigenti che nel tempo hanno valutato la positività di questa sperimentazione, e i benefici e i vantaggi evidenziati hanno portato ad un aumento spontaneo della domanda di accesso a questa modalità di lavoro.
Quali sono, dunque, gli elementi essenziali che non devono mancare in un percorso di smart working?
Sicuramente non può mancare il lavoro sull'organizzazione e sulle persone e il lavorare su obiettivi, flessibilità, responsabilizzazione; tutte leve che lo smart working ha la capacità di potere attivare.
Ma soprattutto un progetto di smart working va sostenuto, dimostrato e comunicato, sia all’interno della propria amministrazione che verso l’esterno, ricordando – come suggerisce Allegretti – che “l’Italia va cambiata mediante l’ascolto, gli incontri, con la pazienza”[2].
[1] Una misura organizzativa introdotta per rispondere alle necessità di miglioramento organizzativo dell’amministrazione e di aumento dell’efficienza, al fine di ridurre i costi di gestione, valorizzare la conciliazione famiglia-lavoro, migliorare la diffusione dell’ICT, valorizzare il territorio e l’ambiente, supportare una politica di age management. Considerata un’eccellenza (unica pubblica amministrazione a vincere lo Smart Working Awards 2014 del Politecnico di Milano), è stata definita come best practice italiana dall’Università Bocconi all’interno del progetto di ricerca Lipse, finanziato dalla UE.
[2] Rif. Diego Piacentini, ex Commissario Straordinario per l'attuazione dell'Agenda Digitale per il Governo Italiano.